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Recensioni

2010 Mostra personale “Un impercettibile sussurro nel frastuono” Parco storico archeologico di San Pietro in Carpignano (Valleggia di Quiliano)

Recensione di Silvia Bottaro

Sono alcuni anni, ormai, che Cristina Sosio si presenta al pubblico sempre più sicura di sé e dei propri mezzi espressivi e comunicativi, grazie ad uno studio molto attento, accurato. Non a caso si diletta, anche, di creare incisioni, acqueforti/acquetinte, guardando ai grandi Maestri, che in alcuni casi “copia” con particolare versatilità, eleganza e leggerezza compositiva, percorrendoli attraverso una “lettura” del tutto personale e con l’uso affinato dall’esercizio, dalla ricerca della tecnica, conquistata, ormai, con vitalità e autenticità.
Dalle sue opere, sempre coinvolgenti, curiose anche nella ricerca dei particolari e di una atmosfera stimolante tra sogno e realtà, si avverte la sua intensa passione per la comunicazione visiva che è così esplicita, al contrario, sotto certi aspetti, del suo carattere un po’ schivo, seppur determinato e consapevole delle proprie capacità artistiche e multiformi conoscenze culturali.
Segno delicato e di fuoco nel contempo; poesia musicale la sua, della quale l’Autrice ci chiede un ascolto particolare. I suoi personaggi, classici ma, in un certo senso, disinvolti, hanno una sorta di doppia vita come i personaggi dei miti (ai quali molto spesso Cristina si riferisce) o dei racconti e delle poesie dei molti Autori che ben conosce (questa mostra propone la “sua” lettura da Dante, Montale, Ungaretti, Leopardi, Tasso, Verga, D’Annunzio, F.M. Ferraris, Pirandello, Manzoni, Gozzano, Orazio, Palazzeschi, Alliri) ed entrano prepotentemente a far parte del suo stile.
Ma cos’è lo stile? Lo stile, solitamente, manifesta, comunica lo spirito di un’epoca, l’immagine della sua civiltà. Come esempio cito il Barocco oppure il Gotico e con tali termini si riesce ad individuare un certo periodo della cultura europea che ha espresso una indubbia visione artistica caratterizzata, per esempio, nelle cattedrali gotiche dalla presenza di molti elementi architettonici e strutturali che ben la differenziano da quella barocca.
Oggi nella nostra contemporaneità il problema è molto complesso: è l’assenza di uno stile che raffigura la nota estetica prevalente di questo nostro tempo. L’artista di oggi, nella assoluta mancanza di uno stile epocale, esprime alcune tendenze, formula delle ipotesi di ricerca dando voce a personalità individuali. In un certo senso l’artista contemporaneo è solo, ha l’ossessione della continua ricerca del nuovo: l’esigenza di essere consapevoli di possedere una personalità, una capacità tecnica che si esplica nella scelta dei materiali, nell’originalità.
Cristina Sosio mi pare avvertire questa problematica e cerca di risolverla, singolarmente, guardando alle proprie radici culturali (anche letterarie) per trarne nuova forza, idee e proposte che dal passato traccino un ponte ideale verso l’avvenire. Questo, a mio modesto parere, è creare uno stile per non confondersi ed, anche, essere riconosciuto. La nostra giovane artista rivisita elementi della cultura umanistica, più in generale, e di quella popolare con accenti anche epici, in un certo qual modo: le sue allegorie hanno un sapore d’antico, raffigurando i nodi cruciali della società contemporanea. Quelle tele sono una festa per gli occhi: colori eleganti, sfumature, giochi di luce, artifici con le parole delle poesie prescelte quali fondali scenici ispiratori da cui parlare all’osservatore. Non mere citazioni sterili, ma una ricerca che desidera guidare lo sguardo verso l’invisibile: una espressione a volte surreale, altre metafisica, oppure onirica.
L’incanto e la realtà: la Sosio ci racconta la veridicità usando, in modo moderno, la sua rivisitazione del mito, della narrazione, della favola. Due linguaggi messi a confronto in un dialogo serrato, poetico, limpido, coinvolgente attraverso, anche, la psicologia degli sguardi ed una tavolozza ricca di pigmenti. La materia ed il segno pulsano di vita, anche antica, ancestrale che si proietta verso il futuro, grazie ad accenti emozionanti del colore, per la luce intima, intensa di certi paesaggi, anche dell’anima.
Sonorità cromatiche, tonali degne di una avventura romantica. Tali opere (ben ventiquattro fanno parte della sua mostra personale “Un impercettibile sussurro nel frastuono”) regalano la misura del vigore dell’artista, della sua sempre più acclarata maturità di pensiero. Cristina è consapevole dei valori essenziali della vita, del lavoro, lasciando da parte le finzioni, i luoghi comuni. Scrivere coi colori è sentire i fatti, i pensieri sulla propria pelle, mettendo in comunicazione gli eventi con la storia: l’artista è un testimone del tempo e la Sosio è un osservatore preparato, cosciente, genuino. Dipingere è, in un certo senso, come scrivere, ovvero riportare con una folgorazione il proprio pensiero, la propria riflessione e come la poesia contiene la vita, così la pittura. Questa mostra personale è, anche, una sorta di “antologia” della letteratura e della poesia filtrata attraverso una particolare sensibilità di “lettura” e di riassunto visivo: una autentica sorpresa per gli occhi e per la mente.
La mostra, poi, ci offre l’occasione di osservare alcune opere che la Sosio ha voluto riprendere da Simone Martini, da Alfons Mucha quali suoi “Omaggi” e tra questi desidero soffermarmi sulla “Medusa”.
Con questo animo ha inteso rendere omaggio a Caravaggio nella ricorrenza del 400° anniversario della sua scomparsa, seguendo il fatto che da Firenze a Roma le più prestigiose Gallerie pubbliche e private ricordano nel 2010 il cammino rivoluzionario di questo Pittore errante e maestro delle tenebre. La nostra pittrice ha ripreso il celeberrimo quadro della “Medusa” di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio.
Cristina Sosio si è cimentata sullo stesso materiale - legno - con lo stesso diametro - cm. 55 ca. - osservando la “Medusa” di Caravaggio conservata alla Galleria degli Uffizi a Firenze: il risultato è un’opera efficace, sorprendentemente sicura, forte, energica, volitiva, forse come non avremmo mai pensato potesse fare, viste le sue delicate e liriche acqueforti, i suoi volti angelici, i richiami al liberty.
La “Medusa” della Sosio è un omaggio sentito, terribilmente fedele alla maniera di Caravaggio, una realizzazione che lascia intravedere come la giovane autrice abbia studiato il grande Maestro, i giochi di luce, la veridicità tragica dell’evento, il terrore di quegli occhi, il raccapriccio di chi osserva. Colpisce tale “copia” nella ricerca sempre impegnata e diligente nel non trascurare il sentimento primitivo che il vero autore ha voluto perseguire, il realismo del sangue colante e le cromie accese, ardenti dell’opera. Cristina Sosio conosce bene la storia della figura di Medusa che è ripresa anche molte volte nella letteratura, come Ovidio nelle Metamorfosi (IV, 799-801): “La figlia di Giove si voltò e si coprì con l’egida il casto volto, ma, perchè quell’oltraggio non restasse impunito, mutò in luride serpi i capelli della Gorgone”. Mentre di lei scrisse Dante Alighieri nel IX canto dell’inferno (51-57): “Volgiti indietro, e tien lo viso chiuso: che se il Gorgon si mostra, e tu il vedessi, nulla sarebbe del tornar mai suso”. E’ interessante notare che il Merisi usa uno scudo da parata, la cui decorazione era quasi sempre dipinta con scene mitologiche o storiche, scelte in relazione all’evento cui la rotella era destinata. L’iconografia della medusa come simbolo era spesso riproposta sulle armature da parata del secolo XVI. Quindi Caravaggio sceglie un mezzo che non faccia da filtro, come poteva essere la tela, ma lo scudo diviene una sorta di pellicola fotografica che documenta la cruda realtà del mito, quasi come fosse una reliquia che renda pressoché tangibile la crudezza dell’evento. Lo stesso vuole fare Cristina Sosio nella sua riproposta dell’impareggiabile capolavoro caravaggesco.
Per concludere, desidero ringraziare la Sosio per la sua capacità sempre fresca di trovare nei versi, nelle pagine dei grandi Autori letterari, così come dai brani dei grandi Maestri del colore e della luce, spunti originali da interpretare, da proporre all’osservatore per una riflessione nel frastuono e nello sconquasso della quotidianità, dove, a volte, è difficile sentir battere il proprio cuore e quello degli altri.

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